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Competenze trasversali, supporto finanziario, cultura dell’innovazione: la ricetta per far evolvere le start up innovative in Italia

L’Italia ha commercializzato tre delle prime cinque ATMP, due delle quali poi ritirate, ha visto nascere interessanti start up in ambito life science, comprate poi da imprese straniere. E poi tutto si è bloccato. Oggi nel nostro paese le grandi imprese non riescono più a innovare, quelle piccole non riescono ad emergere, questi due mondi non comunicano fra di loro. In un momento in cui l’innovazione nell’ambito delle scienze della vita sta vivendo un’accelerazione importante e attirando interessi globali, abbiamo cercato di capire perché questi due mondi non riescono a dialogare, intervistando Paola Lanati, CEO INDICON, intervenuta in qualità di speaker e sponsor all’evento Wired Health 2023.

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Roma, Milano, abbiamo un problema: l’innovazione nel nostro paese non attecchisce. Si ingarbuglia per la burocratizzazione, si ferma a metà per mancanza di competenze, non decolla per carenza di fondi. E le belle idee finiscono all’estero.

 “Il problema è che in Italia abbiamo ottimi centri di ricerca ma c’è differenza tra ricerca e azienda; è il caso delle terapie digitali, in America esistono dal 2011, in Germania ad oggi ne hanno registrate 40, in Italia nessuna. Il nostro non è un paese fatto per l’innovazione, c’è bisogno di dare una grandissima spinta per costruire il mercato e il sistema per rendere l’innovazione accessibile”. Così ha esordito Paola Lanati, durante il suo intervento a WiredHealth 2023  in cui ha parlato di start up e innovazione in ambito life science all’interno della sessione “IA E VR MADE IN ITALY”, dedicato al rapporto tra le aziende del life science e quelle del farmaco e a poter sviluppare un percorso imprenditoriale efficiente per fare innovazione in modo strutturato.

Start Up Italiane nelle Scienze della Vita…e dove trovarle

ll panorama delle startup life science attuali è dominato da aziende straniere. Questa situazione genera una concorrenza feroce e crea difficoltà per le startup nazionali nel competere a livello globale. Oggi il panorama è piuttosto sconfortante: secondo i dati del registro imprese italiano, le start up innovative nate nel 2022 sono 2122. Di queste solo 18 avevano nell’oggetto del business la parola HealthCare e solo 55 la parola health.  Inoltre, il tasso di fallimento delle startup in questo campo è estremamente alto, il che sottolinea la necessità di produrre qualcosa che possa effettivamente raggiungere il mercato e avere un impatto significativo.

Perché falliscono così tanto

Il fallimento piò essere dovuto sia a un’incapacità del progetto di arrivare sul mercato e soddisfare reali bisogni, sia a una gestione troppo medica e poco imprenditoriale, o viceversa. “Ci capita di ricevere presentazioni fatte molto bene dal punto di vista del business plan – rimarca Lanati- ma che non hanno un’idea valida alla base, oppure presentazioni che hanno anche una buona idea, ma gestite male come impostazione del business. Spesso alla base di una start up ci sono medici e farmacologi che però non hanno una competenza imprenditoriale. Oggi ci vogliono tutte queste competenze, altrimenti sul mercato non ci arrivi e la bella idea rimane in laboratorio”.

Le grandi aziende non sanno più innovare

Le grandi aziende non sono più capaci di innovare e quindi si limitano ad acquistare le startup per acquisire tecnologie e know-how, ma questo approccio predatorio non è sano per lo sviluppo del mercato: “Occorre semmai lavorare affinché vi sia un equilibrio tra grandi e piccole aziende- continua la CEO di INDICON –  credo dovremmo riflettere su come sostenere lo sviluppo di start up, piuttosto che ripiegare sul fatto che tanto o falliscono o vengono acquisite da aziende, spesso straniere”.

Le scienze della vita in Italia

 L’Italia aveva una grande tradizione in life science: tre delle prime cinque ATMP commercializzate sono nate in Italia (2 su 3 ritirate per mancanza di sostenibilità). Ma ha avuto anche un buon momento con le start up: “Lo abbiamo visto con AAA (Advanced Accelerator Applications) – evidenza Lanati che è anche Business Angel e ha investito in diverse start up di settore – fondata da Stefano Buono e specializzata in medicina nucleare, poi acquistata da Novartis per quasi quattro miliardi di dollari; Intercept, azienda nata da un’idea italiana e poi comprata dagli americani che ha prodotto un farmaco innovativo per la cura del fegato. O ancora Genenta, start up che sviluppa terapie per la cura dei tumori. Però poi il mercato ha rallentato, industria e accademia non riescono a parlarsi e le idee innovative rimangono nei laboratori”.

L’Italia deve tornare a credere nell’innovazione e nella capacità di innovare che oggi più che mai appartiene a un mondo di giovani ricercatori, medici e imprenditori (ma non solo giovani!) che hanno entusiasmo, ottime idee, ma mancano dei giusti supporti, tecnici ed economici. Il mondo imprenditoriale e istituzionale devono favorire lo sviluppo di queste realtà, che rappresentano un motore fondamentale per il progresso delle scienze della vita, di cui tutti abbiamo bisogno.

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